Investire in Bitcoin: da Bankitalia, 10 motivi per non farlo (parte 2)

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Bankitalia consiglia di non comprare Bitcoin né altre criptovalute. Nonostante l’avvertimento non sia affatto recente, ma risalga ormai a inizio 2015, vale comunque la pena proporre quelle che sono le opinioni dei contrari alle monete virtuali. Dopo aver dato ampio risalto a Bitcoin, Bitcoin Cash e quant’altro, e dopo averne illustrato tutte le potenzialità, per dovere di cronaca bisogna dare spazio anche all’altra campana.

Abbiamo illustrato i primi 5 motivi per cui non bisogna investire in Bitcoin, che riguardavano più che altro l’aspetto della sicurezza e della tecnologia sulla quale si regge un po’ il tutto. Questi altri 5 motivi riguardano invece un discorso di tipo economico, per cui dopo aver rispolverato la prima parte della lista, spostiamoci sulla parte restante.

Perché non investire in Bitcoin (secondo Bankitalia)

Bankitalia, nel sesto punto del suo decalogo, fa notare che i Bitcoin e le altre criptovalute non sono ancora molto accettati come metodo di pagamento, risultando così fini a se stessi. L’istituto di via Nazionale in pratica non fa altro che chiedersi: “Vale davvero la pena investire in questo tipo di monete elettroniche se poi, all’atto pratico della questione, come può essere l’acquisto di un bene in negozio, le monete accettate sono solo e soltanto quelle a corso legale? Ha senso quindi tenere in portafoglio una moneta che non viene accettata nel mercato consumer?”.

Ma non solo, perché anche chi accetta per una volta il pagamento in Bitcoin, non è affatto detto che lo farà anche una seconda occasione: il rapporto che lega negozianti e criptovalute è estremamente discrezionale.

E di poca stabilità gode anche la quotazione stessa della moneta virtuale. Il settimo punto riguarda infatti la quotazione, che la Banca d’Italia nota essere un po’ troppo ballerina: prima che si stabilizzi il prezzo, in sostanza, ci vuole parecchio tempo, e ce ne vuole perché il Bitcoin, tanto per citare un esempio, non ha dietro un’autorità centrale che lo regoli. Ciò fa nascere un rischio ulteriore per l’investitore, perché laddove c’è troppa volatilità c’è anche un maggior rischio di perdite.

Il punto otto riguarda le caratteristiche intrinseche di queste criptovalute, la prima delle quali, come sappiamo, è l’anonimato delle transazioni. Ebbene, un anonimato così portato allo stremo permette il proliferare di attività criminali e quindi spiana il terreno al riciclaggio di denaro sporco. Dato il contesto, non si pongono forse problemi di natura morale? E se non si pongono, si è disposti quanto meno a riflettere in termini economici, visto che questa esposizione alla criminalità da parte delle criptovalute rischia di convincere un’autorità a pretendere la chiusura di exchange su cui si sospetta si stia consumando l’illecito?

Infine, due ultimi punti: tasse e praticità. Per quanto riguarda le tasse Bankitalia invita a riflettere su come la disciplina fiscale di Bitcoin sia davvero poco chiara e di come questa poca chiarezza possa esporre l’investitore a una vera e propria mazzata da parte del Fisco.

Infine, decimo e ultimo punto: la praticità. L’istituto bancario si chiede in sostanza quanto sia pratica una moneta che non può essere prelevata sotto forma di valuta materiale. Gli unici sportelli che esistono al giorno d’oggi sulle criptovalute permettono semplicemente il cambio tra una valuta a corso legale e una valuta digitale, e nient’altro.