Assicurazioni: è paura

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Attribuire ai titoli di Stato un rischio diverso dallo zero o fissare un tetto al possesso di obbligazioni governative domestiche. Questa è la proposta dell’Europa che fa storcere il naso ai Paesi della periferia dell’Unione europea. Non solo alle banche ma anche alle assicurazioni.

Vediamo nel dettaglio. I titoli di Stato italiani ed esteri in mano alle assicurazioni italiane hanno superato la quota di 300 miliardi di euro. Una crescita esponenziale senza soste. L’incidenza sul totale degli investimenti è oggi del 53,3% ed è diminuita rispetto agli ultimi tre anni: nel dettaglio nel 2014 i titoli di Stato erano il 56,2% del totale e l’anno precedente addirittura il 56,9%. Nel 2008, all’inizio del periodo di riferimento questa percentuale era del 44,6%. Relativamente alla scadenza dei titoli nel portafoglio delle assicurazioni, gli ultimi dati disponibili a giugno 2015 di Banca d’Italia dicono che il 12,1% è rappresentato da titoli di Stato italiani con scadenza inferiore ai 2 anni; il 21,1% è rappresentato da titoli con scadenza compresa tra i 2 e i 5 anni e il 58,7% da titoli con scadenza superiore ai 5 anni; infine un 8,1% è rappresentato da altri titoli di Stato.

Il direttore generale di ANIA Dario Focarelli, associazione che rappresenta le assicurazioni italiane, dice che sono solo ipotesi, ma se domani ci svegliassimo in un mondo con i Btp non più risk-free per le assicurazioni sarebbe un duro colpo, in quanto si avrebbe un significativo aumento del capitale richiesto e si determinerebbe un forte incentivo a vendere i titoli. Dobbiamo, inoltre, tener presente che già adesso in Solvency II un calo del valore del Btp si riflette immediatamente nella riduzione del patrimonio dell’assicurazione, cosa che ad esempio non avviene nella regolamentazione bancaria se il titolo è allocato nel cosiddetto banking book. In altri termini, la regolamentazione assicurativa già prevede che peggioramenti del merito di credito dei Btp riducono il patrimonio della compagnia e sarebbe perciò sbagliato aggiungere un ulteriore requisito patrimoniale. Si tratterebbe quindi di uno scossone di dimensioni molto significative, vista la quantità di titoli di Stato in pancia alle assicurazioni.

Senza considerare il fatto che la compagnia di assicurazione contrae determinati impegni nei confronti degli assicurati (ad esempio, in termini di garantire un certo rendimento a specifiche polizze) e un cambiamento delle regole in corsa, che trasformasse titoli risk-free in titoli rischiosi potrebbe rendere impossibile rispettare questi impegni. Insomma, potrebbero rimetterci gli assicurati italiani.
Secondo Focarelli, il sistema finanziario ha bisogno di poter investire in un titolo privo di rischio, che da sempre è stato identificato nei titoli di stato per il semplice motivo che nessun emittente privato che opera solo entro i confini nazionali può essere meno rischioso del suo Sovrano, che ha il potere di tassazione. Solo se ci fosse un titolo di Stato europeo a rischio zero, ossia la disponibilità dei diversi Paesi europei a sostenersi a vicenda, allora potrebbe aver senso decidere quanto è rischioso il singolo titolo nazionale. Senza un titolo europeo, si creerebbe un’asimmetria a vantaggio della Germania e a svantaggio della periferia, visto che ci sarebbe un forte incentivo a comprare i Bund.

Anche la tempistica di applicazione può fare la differenza. Se una regola  costringesse banche e assicurazioni a cedere parte del proprio portafoglio in Btp alla fine del Quantitative easing, l’effetto potrebbe essere dirompente. Ma se questo obbligo fosse fissato nel periodo in cui la Bce conduce ancora la sua politica di acquisti sul mercato i soggetti cedenti sarebbero incentivati a vendere alla Bce con il risultato che la Germania – che non vuole il debito in comune – se ne troverebbe ancora di più, tramite il bilancio della banca centrale.