Venezuela: dove è finito il petrolio?

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Il petroglio, unica fonte di ricavi per il Paese, non sembra più essere presente nel sottosuole e dev’essere tagliata con altro greggio più leggero. Per questo il Paese è costretto ad importare greggio dagli Stati Uniti.

Il Venezuela non ha soldi, nè riserve monetarie per pagare ciò che importa, non ha una struttura industriale nè agricola per produrre ciò che le serve.

Il petrolio, unica sua fonte di ricavi, è ora diventato una condanna. Le quotazioni sono crollate e solo ora si sono stabilizzate a quota 45-50 dollari. Le caratteristiche del greggio venezuelano non si addicono inoltre alla commercializzazione diretta. La materia prima è densa e deve essere sottoposta a diversi processi prima di essere pronta per l’utilizzo. Questo comporta un aumento dei costi che avrebbe potuto essere arginato con investimenti per rendere gli impianti più moderni ed efficienti.

L’importazione di petrolio dagli Stati Uniti, più leggero e indispensabile per lavorare e rendere vendibile quello venezuelano è necessaria ma fa lievitare i costi al barile, nonostante quello Usa sia economicamente più conveniente rispetto a quello russo e nordafricano, ma allo stesso tempo fa anche aggravare i problemi sociali in cui è sprofondata la nazione. Infatti quel poco che si guadagna dal petrolio viene deviato per pagare debiti di stato e il petrolio statunitense.

Il governo Chavez inoltre, in carica per 7 anni, decise di nazionalizzare l’unico pozzo presente in Venezuela, l’unico pozzo in grado di fornire petrolio più leggero. Inoltre non c’è motivo di comprare una materia prima mediocre quando il mercato deve scontare un eccesso di offerta fino al 2017 e quindi prezzi bassi anche per le qualità migliori. Tutto questo ha reso il petrolio di Caracas fuori mercato mettendo KO la voce che copriva il 90% delle entrate di stato.

Qual è il risultato di tutto questo? Pin in caso del 16%, mancanza di beni di prima necessità, tagli su cure mediche e ospedali, crisi sociale e umanitaria.

Le ultime stime inoltre registrano un calo del 24% negli investimenti da parte delle società petrolifere, anzichè del 17%, come previsto a inizio anno. Un taglio, dunque, più consistente del previsto che fa intuire come le prospettive di un rialzo delle quotazioni siano ancora lontane.