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Che Banca! e l’acquisizione di Barclays

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che banca

CheBanca raddoppia le dimensioni, concludendo l’acquisizione dell’attività retail di Barclays in Italia. L’operazione, chiusa il 26 agosto, porta la raccolta della controllata di Mediobanca a oltre 20 miliardi di euro. Inoltre, Barclays pagherà a CheBanca 240,5 milioni a compendio di un ramo di azienda in pareggio.

Concluso l’acquisto da parte di Mediobanca, tramite la controllata CheBanca!, dell’acquisizione delle filiali Barclays in Italia.

CheBanca! ha acquisito dall’istituto britannico un ramo di azienda del valore di 220 mila clienti, tra cui oltre 50 mila appartenenti alla fascia “premium”, nonchè 2 miliardi di risparmio gestito e mutui residenziali per 2,5 miliardi.

Entrano a far parte di CheBanca! circa 85 filiali, 564 dipendenti dell’area commerciale retail e 68 promotori finanziari.

Il passaggio non era stato preso troppo positivamente dai dipendenti Barclays, in quanto non tutti sarebbero passati alla nuova proprietà. Circa 300 gli esuberi che avevano indotto i dipendenti Barclays a scendere in piazza contro questa acquisizione che, alla fine, è andata comunque a buon fine.

Il prezzo della cessione è di 240,5 milioni a compendio di un ramo di azienda in pareggio, con attività e passività bilanciate. Operazione significativa per CheBanca!, visto che le sue dimensioni andranno a raddoppiare, con oltre 20 miliardi di raccolta totale. “Con l’acquisizione, infatti, risultano in sensibile incremento il numero dei clienti (+38% a 800 mila), le masse gestite (+74% a 6,8 miliardi), la raccolta diretta (+27% a 13,6 miliardi) e i mutui ipotecari (+50% a 7,5 miliardi)”.

L’acquisizione giunge a conclusione di un triennio (2014-2016) in cui il gruppo Mediobanca è stato fortemente impegnato a divenire più semplice e meglio valutabile dal mercato, capace di assicurare una redditività sostenibile nel medio periodo investendo nello sviluppo di tre attività bancarie specializzate (Cib, Credito al Consumo e Wealth Management), ad elevato contenuto commissionale e basso assorbimento di capitale.

Risulta, inoltre, ulteriormente rafforzato il modello distributivo multicanale: le filiali salgono a 143 e la rete di promotori finanziari si integra ed affianca a Yellow Advice, il servizio di consulenza finanziaria per gli investimenti, unico in Italia, che coniuga la tecnologia del robo-advisor con la presenza umana (“Human digital bank”).

La parte residuale del portafoglio mutui Barclays così come altri prestiti retail, wealth e corporate non-core continueranno ad essere parte di Barclays Non-Core.

Riforma delle Partite Iva 2017: flat tax, studi di settore abolizione IRAP

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partite iva

Dal 1 gennaio 2017 verranno introdotte novità molto importanti per quel che riguarda le Partite Iva. L’obiettivo del governo è di semplificare e ridurre allo stretto indispensabile quelli che sono gli oneri burocratici (e fiscali) che pesano tuttora come un macigno sulle spalle degli autonomi. La riforma delle Partite Iva è stata annunciata e chiesta in più fasi, ma a parte la sostituzione del regime dei super minimi con l’attuale regime forfettario, di concreto non c’è ancora stato nulla su questo fronte.

Apple fa le valigie: dopo la multa Ue, i capitali rientreranno negli USA

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tim cook - ceo di apple

In questi giorni Apple è finita nell’occhio del ciclone per essere stata multata dall’Unione Europea per la “modica” cifra di 13 miliardi di euro. In poche parole, da quel di Bruxelles hanno stabilito che l’azienda abbia ricevuto dei favori fiscali da parte dell’Irlanda, pagando un’aliquota fiscale dieci volte più bassa rispetto a quella che è la normale aliquota vigente nel Paese sul reddito delle imprese. Per questo motivo l’Europa ha deciso che Apple dovrà rimborsare l’erario irlandese di tutta la differenza inevasa che ammonta appunto a 13 miliardi.

Brasile: Dilma destituita

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dilma destituita

Il Brasile saluta il presidente Dilma in seguito all’approvazione dell’impeachment che la riguardava e si prepara ad accogliere il nuovo presidente: Michel Temer, 37esimo presidente della Repubblica brasiliana, salito al potere circa tre ore dopo la destituzione a seguito di impeachment di Dilma Rousseff.

Dilma Rousseff non è più Presidente del Brasile. Il Senato brasiliano ha approvato in via definitiva, al termine del lungo processo di impeachment che già aveva portato alla guida del Paese il suo ex vice, Michel Temer, la destituzione della Presidente con 61 voti favorevoli e 20 contrari.

Sarebbe stata sufficiente una maggioranza di due terzi, cioè 54 senatori, ma nelle ultime ore le hanno voltato le spalle quasi tutti i parlamentari al di fuori del suo partito, il Pt, e dell’alleato Partito comunista. Con una seconda votazione, il Senato ha deciso invece di non infierire sulla sconfitta, lasciandole i diritti politici e la possibilità di assumere cariche pubbliche.

Temer guiderà il Brasile fino al 2018, quando si terranno le prossime elezioni presidenziali. Ma la Presidente destituita annuncia battaglia.

Secondo Dilma infatti, in Brasile sarebbe salito al potere un gruppo di corrotti ed è per questo che lei ha annunciato che ricorrerà a tutte le istanze contro la decisione di annullare il suo mandato.

Papa Francesco sostiene Dilma

Papa Francesco ha inviato una lettera di sostegno alla ex presidentessa brasiliana. A comunicarlo è Leonardo Boff, uno dei padri della Teologia della liberazione brasiliana e amico di Papa Francesco. Dilma e il Papa erano diventati amici durante la Giornata mondiale della Gioventù tenutasi a Rio de Janeiro, nel 2013 – spiega Leonardo Boff.

Il contenuto della missiva resta però segreto in quanto, in segno di rispetto, la presidente non ha voluto renderne noto il contenuto. Boff dichiara però di essere certo che il contenuto della lettera contenga la condanna di un eventuale golpe. Boff, ex frate francescano, negli anni Ottanta fu costretto, dall’allora cardinale Ratzinger, ad abbandonare la vocazione a causa della sua ideologia vicina al marxismo. L’ex frate, oggi anche docente di etica ed ecologia e colui che ha contribuito alla preparazione dell’enciclica Laudato si di Bergoglio, ha dichiarato che l’impeachment è, secondo lui, un golpe della classe dei privilegiati. Si tratta dei 71 mila ultraricchi che non erano soddisfatti dei governi di Lula e Dilma e che non accettano l’idea di democrazia sociale per tutti.

E’ la seconda volta, dal ritorno alla democrazia negli anni Ottanta, che un presidente brasiliano cade per impeachment. Nel caso di Fernando Collor (1993), le accuse riguardarono invece casi di corruzione. La Rousseff tornerà a Porto Alegre, la sua città di adozione, nelle prossime ore. Michel Temer invece si imbarcherà subito per il Giappone, dove parteciperà al G20 con il pieno mandato.

 

 

Doppio Euro: l’ipotesi che inizia a prendere piede

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doppio euro

Un doppio Euro: uno del nord e uno del sud, quest’ultimo svalutato di circa il 15-20% rispetto al primo. Sembra un’ipotesi incredibile, ma l’idea inizia a piacere sempre di più, soprattutto ai paesi “forti” dell’Unione Europea, che sembra stiano già lavorando in tal senso.

Si era già accennato all’ipotesi della creazione di un doppio Euro all’apice della crisi dei debiti periferici dell’Europa. Questa teoria però inizia a prendere piede nuovamente oggi. Si tratta della creazione di un Euro “nordico” per i Paesi forti, quali Germania, Austria, Olanda, Finlandia e alcuni altri paesi dell’Est da definire, ed uno del sud per paesi più in difficoltà, quali Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Francia e Belgio si trovano nel limbo, al momento, in quanto non si capisce in quale dei due gruppi possano essere collocati.

L’iniziativa piace molto ai principali esponenti del mondo finanziario e c’è chi dice che si starebbe già lavorando in tal senso presso la Banca Centrale Europea.

Quale svalutazione?

Mentre ci si continua a chiedere se si tratta di illazioni o di realtà, preoccupiamoci del vero problema di questa questione, ovvero la determinazione dell’ammontare della svalutazione dell’Euro meridionale rispetto a quello settentrionale. Si è suggerito di svalutare il primo del 15-20% rispetto al secondo. Questo, se pur inizialmente farebbe tirare un sospiro di sollievo ai paesi del Sud Europa, creerebbe, in seguito, un’oscillazione tra le due monete.

Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e tutti gli altri del gruppo ne trarrebbero vantaggio e lo stesso gli investitori di questi Paesi che si ritroverebbero con una rivalutazione del 15-20% dei loro portafogli, contenenti paesi nordici.

Che fare?

Quindi che fare? Ha senso procedere in tal senso? Nessuno può dirlo oggi perchè questa soluzione non è stata ancora resa ufficiale e si tratta, per il momento, di una pura congettura studiata da analisti e teorici finanziari. D’altra parte, una decisione così radicale non potrebbe essere portata all’attenzione del grande pubblico molti mesi, se non anni, prima dell’effettiva realizzazione.

In un quadro così incerto per il futuro dell’euro la scelta di introdurre le due valute potrebbe certamente rappresentare un modo per attenuare l’impatto dei nervosismi antieuropei. Non risulta pertanto azzardato, da parte degli investitori, iniziare a valutare una strategia vincente per affrontare una situazione di questo tipo, anche se per ora è presente solo sulla carta.

Fusione Wind – 3 e conseguenze

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fusione Wind-Tre
La fusione tra Wind e 3 porterà un maggior equilibro sul mercato con i protagonisti che si troveranno a possedere un terzo del mercato a testa. Di conseguenza, il mercato avrà una necessità inferiore di concorrenza sui prezzi, proprio grazie all’equilibrio stabilito. E’ da tenere d’occhio però la francese Iliad che sta conquistando gli abbonati nel paese“. Questo è il pensiero degli analisti di S&P Global ratings, espresso nel report dal titolo “Le fusioni e acquisizioni tra le compagnie italiane di tlc porteranno la Dolce Vita?”
Di seguito i dettagli della ricerca.
Secondo uno studio effettuato da S&P, il mercato della telefonia mobile italiano è diviso tra Telecom Italia e Vodafone, che insieme controllano circa il 67% del mercato. Seguono Wind e 3 con, rispettivamente il 22% e l’11%.
Sembra ormai probabile la fusione tra Wind e 3, nei prossimi giorni, dopo l’ingresso sul mercato di un’altra compagnia telefonica: l’agguerrita  compagnia telefonica francese Iliad. Non ci sono accordi per la condivisione della rete sul mercato italiano, cosa che era accaduta nel Regno Unito e che aveva sollevato preoccupazioni tra le autorità di vigilanza in materia di concorrenza.

S&P ritiene che la fusione tra le due aziende creerà un maggior equilibrio tra i player attuali del mercato, visto che ciascuno si troverà ad avere circa un terzo del mercato, per fatturato. Il mercato inoltre avrà una minore necessità di concorrenza sui prezzi. Proprio la forte concorrenza infatti, aveva creato problemi al mercato italiano delle telecomunicazioni negli ultimi anni. Le aziende del settore avevano registrato un calo della crescita dei ricavi, sia a causa delle difficili condizioni macroeconomiche che, appunto, della forte concorrenza nel settore.

Con la fusione, si avrà un miglioramento del mercato delle telecomunicazioni, fino all’ingresso di Iliad, probabilmente tra due anni, anche se gli analisti dicono che il mercato italiano è ben diverso da quello francese, dove Iliad ha avuto un gran successo.

Non rimane pertanto che aspettare le prossime mosse di Iliad, che potrebbe decidere di entrare nel mercato in modo aggressivo. S&P ritiene che la compagnia francese possa avere successo anche in Italia, sebbene troverà maggiori limiti negli sconti delle tariffe che potrà offrire. In questo caso, potrebbe doversi accontentare di una crescita più lenta e misurata.

 

 

 

Unicredit e Generali fuori dall’Eurostoxx 50. Ma perché?

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unicredit

Le azioni Unicredit e Generali non sono più parte integrante dell’indice Eurostoxx 50, il paniere che raccoglie le 50 migliori blue chip di tutta Europa. Si tratta di un evento che è stato accolto di sorpresa da molti, ma che nella gran parte dei casi gli investitori avevano messo in conto visto che di una possibile esclusione di Unicredit e Generali dall’Eurostoxx 50 se ne parlava a dire il vero già da un po’.

Mercati finanziari: il punto

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mercati finanziari

Le banche continuano a trainare l’indice europeo. Il dollaro teme il rialzo FED e si riscontrano segnali di perdita di momentum del ciclo.

Il dollaro in ripresa ha cambiato le carte in tavola sul mercato azionario globale. Se fino a pochi giorni fa Tokyo e le borse europee erano i fanalini di coda, oggi si ritrovano in capo alla fila, con Stati Uniti e mercati emergenti che gradualmente perdono smalto.

Un equilibrio complesso e molto fragile quello che si è raggiunto negli ultimi mesi sui mercati. Tassi e dollaro stabili ostacolano gli sforzi della BCE e della Bank of Japan e mettono in difficoltà il sistema bancario e i risparmiatori. Al contrario, tasso e dollaro in rialzo li aiutano, ma solo in parte e mettono invece in difficoltà la Cina e i Paesi Emergenti, gravando anche sul settore manifatturiero americano. I margini di manovra sono ridotti e occorre raggiungere un equilibrio tenendo conto delle esigenze di ognuno. Un modesto incremento dei tassi e l’apprezzamento del dollaro potrebbero essere tollerati dal mercato, se accompagnati da una accelerazione ciclica in US.

Sugli altri mercati si riscontrano nuovi indebolimenti dello Yen e staticità sugli altri indici asiatici, ad eccezione di India e Shanghai.

In Europa si è partiti al rialzo, grazie al settore bancario, settore considerato ormai in profonda crisi che ha però creato un improvviso entusiasmo sul mercato. Una delle cause sembra essere il possibile calo della richiesta di ricapitalizzazione di Unicredito e Montepaschi. La prima starebbe coprendo parte del deficit tramite liquidazione di asset e la seconda starebbe lavorando a modifiche del piano di risanamento.

Sul fronte macro, assistiamo ad un aumento dei dati tedeschi a luglio, mentre il mercato francese appare meno brillante ed è in calo il CPI flash Eurozone di agosto.

Ma i dati più attesi, come sempre, erano quelli americani:sembra che l’economia americana si stia assestando un po’ dopo gli slanci di inizio estate. I dati presentano infatti un aumento del numero degli occupati nel settore privato ad agosto. Il petrolio è in calo e, di conseguenza, Wall Street ha preso a scendere, cancellando il rally delle borse europee, ma non quello delle banche. Sono stati colpiti anche gli emergenti, gravati dal dollaro e da dati non positivi in India, Brasile e Nigeria.

 

 

Bank of Japan sotto il radar degli investitori

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Bank of Japan

I provvedimenti del governo per dare una spinta all’economia non hanno convinto i gestori di fondi che ora hanno puntato l’attenzione Bank of Japan, attendendo le sue prossime mosse.

Il Giappone non riesce a convincere il mercato. Non sono serviti, al momento, i provvedimenti messi in campo dal governo nipponico per dare slancio all’economia del paese. Tra questi, il governo ha erogato 28 mila miliardi di yen (circa 245 miliardi di euro) con l’obiettivo di far salire il Pil dell’1,3%. Il piano, definito dal premier Shinzo Abe “un investimento per il futuro”, prevede misure per piccole e medie imprese, famiglie a basso reddito, sostegni per la ricostruzione delle zone colpite da episodi sismici, per il turismo, per le infrastrutture e così via.

Nel frattempo il piano ha portato qualche conseguenza sul piano politico, con la sostituzione dei Ministri dell’Industria e della Difesa. Hanno salvato il posto invece i ministri delle Finanze e vice-premier, quello degli Affari esteri e il segretario generale e portavoce del governo. Il ministro della Ripresa economica ha conservato la carica, così come quello agli Interni e della Salute.

Occhi puntati sulla Bank of Japan

Gli investitori, nel frattempo, sono tutti in attesa delle prossime mosse della Bank of Japan. Il prossimo 20 e 21 settembre infatti ci sarà la riunione del board, nella quale si chiarirà che cosa serve al governo per raggiungere il target di inflazione del 2%. Non ci si aspetta per il momento un aumento dei tassi di interesse.

Sul fronte inflazione non ci sono buone notizie. Gli ultimi dati sul costo della vita dicono che i prezzi al consumo sono scesi a luglio dello 0,2% rispetto al mese precedente e dello 0,5% annuo. Si tratterebbe pertanto del calo più alto da marzo 2013, un dato addirittura più basso delle attese di mercato. Ma, per fortuna, ci sono anche buone notizie. L’indice Pmi manifatturiero, ad esempio, ha registrato un balzo lo scorso mese raggiungendo quota 49,3 rispetto al 48,1 di giugno, segnando un record da febbraio scorso e migliorando il dato preliminare che era di 49. Dopo un secondo trimestre che ha registrato la peggiore performance degli ultimi tre anni e mezzo, il terzo trimestre dell’anno si apre con segnali di ripresa.

 

Unicredit verso l’aumento di capitale: pronto un piano di cessioni

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Il nuovo amministratore delegato di Unicredit Jean Pierre Mustier, sembra avere le idee molto chiare in merito a come gestire l’aumento di capitale che la banca è stata chiamata a realizzare. Come conferma un articolo apparso proprio di recente sulle pagine di Repubblica, il numero uno di Unicredit sta lavorando per alleggerire l’ammontare dell’aumento di capitale facendo affidamento a un programma di cessioni.

Aumento di capitale Unicredit: il piano di dismissioni studiato da Mustier

Nelle passate settimane si era già parlato della possibilità, ad esempio, che Unicredit cedesse una volta per tutte il pacchetto azionario detenuto nella polacca Bank Pekao. Quella mossa avrebbe permesso a Unicredit di dare forma a questo suo annunciato programma di cessioni, e al tempo stesso avrebbe fatto comodo allo stesso governo polacco che nel solco della sua nuova avventura politica ha annunciato l’intenzione di “riappropriarsi” di questo suo Istituto di credito. Ma Bank Pekao non sembra sia l’unica grossa cessione a cui Unicredit si sta preparando, visto che pochi giorni dopo i giornali hanno rilanciato la notizia di una possibile vendita di FinecoBank. Fino ad arrivare a ieri, quando una nuova ondata di voci è tornata a paventare di possibili movimenti riguardanti Pioneer.

Insomma, pare proprio che Jean Pierre Mustier si stia dando un gran bel da fare per liberarsi di un po’ di proprietà che sono tuttora parte del gruppo: la volontà sarebbe quella di puntare a una cessione complessiva di tutte queste realtà “minori”. Considerando i contorni che la faccenda sta assumendo in questi ultimi giorni, è pertanto altamente probabile che nel piano di dismissioni possa rientrarci persino l’8.5% che Unicredit detiene in Mediobanca.

Insomma, per Unicredit si sta per aprire una stagione estremamente calda, con un amministratore delegato che per tentare di ridurre al minimo l’ammontare dell’aumento di capitale sta provando a liberarsi di tutto ciò che a questo punto viene considerato “superfluo”. Coinvolgere al minimo i soci è l’obiettivo primario, e la sfida che Jean Pierre Mustier intende giocarsi verterà proprio sulla sua capacità di far fronte a uno scopo che non è ambizioso, ma qualcosa di più!

E a dirlo sono i calcoli: seppure Unicredit dovesse riuscire a incassare 8 miliardi dal piano di cessioni, la ricapitalizzazione necessaria rimarrebbe comunque da 7 miliardi. Numeri importanti, quindi, che si concretizzeranno in ogni caso non prima di fine anno.

*I CFD sono strumenti complessi e presentano un alto rischio di perdita rapida di denaro per via della leva. Tra il 74-89% degli investitori perde denaro quando negozia CFD. Considera se puoi permetterti l'alto rischio di perdere il denaro investito.
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