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Assicurazioni: è paura

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Attribuire ai titoli di Stato un rischio diverso dallo zero o fissare un tetto al possesso di obbligazioni governative domestiche. Questa è la proposta dell’Europa che fa storcere il naso ai Paesi della periferia dell’Unione europea. Non solo alle banche ma anche alle assicurazioni.

Vediamo nel dettaglio. I titoli di Stato italiani ed esteri in mano alle assicurazioni italiane hanno superato la quota di 300 miliardi di euro. Una crescita esponenziale senza soste. L’incidenza sul totale degli investimenti è oggi del 53,3% ed è diminuita rispetto agli ultimi tre anni: nel dettaglio nel 2014 i titoli di Stato erano il 56,2% del totale e l’anno precedente addirittura il 56,9%. Nel 2008, all’inizio del periodo di riferimento questa percentuale era del 44,6%. Relativamente alla scadenza dei titoli nel portafoglio delle assicurazioni, gli ultimi dati disponibili a giugno 2015 di Banca d’Italia dicono che il 12,1% è rappresentato da titoli di Stato italiani con scadenza inferiore ai 2 anni; il 21,1% è rappresentato da titoli con scadenza compresa tra i 2 e i 5 anni e il 58,7% da titoli con scadenza superiore ai 5 anni; infine un 8,1% è rappresentato da altri titoli di Stato.

Il direttore generale di ANIA Dario Focarelli, associazione che rappresenta le assicurazioni italiane, dice che sono solo ipotesi, ma se domani ci svegliassimo in un mondo con i Btp non più risk-free per le assicurazioni sarebbe un duro colpo, in quanto si avrebbe un significativo aumento del capitale richiesto e si determinerebbe un forte incentivo a vendere i titoli. Dobbiamo, inoltre, tener presente che già adesso in Solvency II un calo del valore del Btp si riflette immediatamente nella riduzione del patrimonio dell’assicurazione, cosa che ad esempio non avviene nella regolamentazione bancaria se il titolo è allocato nel cosiddetto banking book. In altri termini, la regolamentazione assicurativa già prevede che peggioramenti del merito di credito dei Btp riducono il patrimonio della compagnia e sarebbe perciò sbagliato aggiungere un ulteriore requisito patrimoniale. Si tratterebbe quindi di uno scossone di dimensioni molto significative, vista la quantità di titoli di Stato in pancia alle assicurazioni.

Senza considerare il fatto che la compagnia di assicurazione contrae determinati impegni nei confronti degli assicurati (ad esempio, in termini di garantire un certo rendimento a specifiche polizze) e un cambiamento delle regole in corsa, che trasformasse titoli risk-free in titoli rischiosi potrebbe rendere impossibile rispettare questi impegni. Insomma, potrebbero rimetterci gli assicurati italiani.
Secondo Focarelli, il sistema finanziario ha bisogno di poter investire in un titolo privo di rischio, che da sempre è stato identificato nei titoli di stato per il semplice motivo che nessun emittente privato che opera solo entro i confini nazionali può essere meno rischioso del suo Sovrano, che ha il potere di tassazione. Solo se ci fosse un titolo di Stato europeo a rischio zero, ossia la disponibilità dei diversi Paesi europei a sostenersi a vicenda, allora potrebbe aver senso decidere quanto è rischioso il singolo titolo nazionale. Senza un titolo europeo, si creerebbe un’asimmetria a vantaggio della Germania e a svantaggio della periferia, visto che ci sarebbe un forte incentivo a comprare i Bund.

Anche la tempistica di applicazione può fare la differenza. Se una regola  costringesse banche e assicurazioni a cedere parte del proprio portafoglio in Btp alla fine del Quantitative easing, l’effetto potrebbe essere dirompente. Ma se questo obbligo fosse fissato nel periodo in cui la Bce conduce ancora la sua politica di acquisti sul mercato i soggetti cedenti sarebbero incentivati a vendere alla Bce con il risultato che la Germania – che non vuole il debito in comune – se ne troverebbe ancora di più, tramite il bilancio della banca centrale.

Referendum e spread: vediamo cosa accadrà

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Il referendum costituzionale di fine anno si avvicina. Vediamo che cosa accadrà se a spuntarla saranno i no, come sembra più probabile oggi.

Secondo i sondaggi e le stime degli analisti, in caso di vittoria del no, l’Italia entrerebbe in una fase di instabilità politica e lo Spread tra Btp e Bund tornerebbe ad ampliarsi. Le riforme sarebbero a rischio e un governo tecnico di transizione avrebbe le mani legate.

Secondo Ubs il referendum sarà l’evento più importante in Europa. Secondo le previsioni, se il governo perde il differenziale nell’immediato si amplierebbe a oltre 155 punti base, per un balzo del 15% circa dai valori attuali. In caso di vittoria dei Si, lo Spread invece si ridurrebbe di 5-10 punti base. Al momento sui mercati del reddito fisso lo Spread tra i rendimenti decennali italiani e quelli della controparte tedesca oscilla intorno ai 135 punti base.

Gli analisti preferiscono essere “long” sul decennale spagnolo piuttosto che su quello italiano e consigliano di prevedere una copertura contro una potenziale escalation dei rischi italiani con la vendita del Btp decennale italiano a favore dei treasuries statunitensi.

Il Consiglio dei ministri ha fissato, come già anticipato, la data del referendum al 4 dicembre. Secondo Massimo D’Alema, si tratta di una scelta irresponsabile visto che capita a ridosso della fine dell’anno, in concomitanza con le elezioni presidenziali austriache che potrebbero terminare con la vittoria in mano ad una forza politica anti sistema e anti europea.

Il referendum italiano che si terrà prima della fine dell’anno avrà valenza storica: in caso di vittoria del si, infatti, apporterà una modifica alla legge fondatrice italiana, mettendo fine al bicameralismo, oppure potrebbe cambiare le sorti del governo. Il premier ha annunciato che, in caso di vittoria del no, si dimetterà da primo ministro, creando una crisi e portando alla creazione di un governo tecnico di transizione prima delle eventuali elezioni anticipate (di cui tra l’altro non si sa ancora con quale legge elettorale si andrà a votare).

Se ci si basa sulle intenzioni di voto dei principali partiti d’Italia, la vittoria dei No è molto probabile. Infatti, quasi metà del PD voterebbe contro, così come tutti i partiti all’Opposizione (sia di destra, sia di sinistra) e il MoVimento 5 Stelle.

Per Societe Generale c’è il 55% di chance che Renzi perda la battaglia referendaria. Nel 2017 si rischia quindi di vivere un anno di incertezza e cambiamento politici in Europa: si terranno anche le elezioni nelle altre due grandi potenze economiche del continente e dell’area della moneta unica, la Francia e la Germania.

Petrolio: l’accordo Opec fa lievitare i prezzi

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L’Opec fissa il limite a 32,5 milioni di barili. La notizia fa lievitare del 5,32% le quotazioni a New York.

L’Opec trova un difficile accordo per il taglio delle quote di produzione e il prezzo del petrolio sale, tornando sopra quota 47 dollari e segnando in pochi minuti un guadagno del 5,32%.

Il vertice informale di Algeri, dove per tre giorni i principali Paesi produttori si sono confrontati alla ricerca di un’intesa che non scontentasse nessuno, in particolare i due ‘avversari’ Arabia Saudita e Iran, sembra essersi concluso con la decisione di far scendere il tetto della produzione dai 33,2 milioni di barili del mese scorso a 32,5 milioni di barili. La notizia non è ancora ufficiale e potrebbe essere ratificata il 30 novembre a Vienna, ma i mercati sono apparsi convinti che l’accordo sia stato trovato.

A pagare il conto più salato, secondo la proposta presentata dall’Algeria, dovrebbe essere il colosso saudita, principale fautore della politica di prezzi bassi di questi anni, che vedrà la produzione scendere di circa 400 mila barili, seguito da Emirati Arabi (circa 150 mila barili in meno) e Iraq (circa 130 mila in meno). Libia e Nigeria conserverebbero le quote attuali, mentre l’Iran, il Paese più restio all’idea di congelare la produzione dati che punta a tornare ai livelli pre-embargo, verrebbe accontentato con un piccolo incremento, pari a circa 50 mila barili al giorno.

Il taglio della produzione, il primo da otto anni a questa parte, ha messo il turbo alle quotazioni, che nel giro di pochi minuti hanno superato quota 47 dollari, dai 44 circa su cui avevano viaggiato per tutta la giornata, chiudendo a 47,05. Del resto non era scontato che gli Stati membri del Cartello raggiungessero un accordo, vista la tenace opposizione di Teheran, che vuole trarre vantaggio dalla nuova condizione di libertà d’azione determinata dalla fine delle sanzioni.

La situazione economica internazionale ha probabilmente avuto la meglio sulla geopolitica: le previsioni su prezzi in picchiata e domanda ancora in ribasso a fronte di un’offerta sovrabbondante non sono rimaste inascoltate al tavolo del grandi produttori, dove sedeva anche la Russia, pur non essendo membro effettivo del Cartello. E proprio Mosca, insieme ad Algeria e Qatar, avrebbe convinto Arabia Saudita e Iran della necessità di ritoccare i prezzi al ribasso per il bene di tutti.

Apple si sposta sul Tamigi

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Un nuovo spettacolare campus a Londra è previsto per il futuro di Apple. I lavori dureranno 5 anni ma il risultato sarà impressionante: si tratta di uno spettacolare campus a Londra, all’interno dell’ex centrale elettrica Battersea Power Station sul Tamigi.

La sede principale del business di Cupertino rimarrà sempre l’Irlanda ma per il 2021 è programmata l’inaugurazione di un nuovo Apple Campus a Londra. Attualmente Apple impiega circa 1.400 persone a Londra, dislocate in 8 diversi uffici, location che probabilmente verranno abbandonate per unire tutti i dipendenti nella nuova sede all’interno del Battersea Power Station.

Si tratta di un imponente edificio storico situato proprio sulla riva del Tamigi, una ex centrale elettrica a carbone che con la sua mole immensa domina lo skyline della metropoli. L’ex centrale, costruita tra gli anni ’30 e ’50 è rimasta abbandonata dal 1983, per poi essere ristrutturata come edificio storico rilevante ma tuttora privo di destinazione.

Il progetto annunciato di trasformarlo nell’ Apple Campus a Londra risolve definitivamente la questione: per la città si tratta del singolo contratto di locazione uffici più rilevante siglato da 20 anni a questa parte.

Apple non sarà l’unico inquilino: nell’edificio troveranno posto anche negozi, attività e appartamenti. In ogni caso è certo che Cupertino sarà la presenza principale con uno spazio di 500mila piedi quadrati, che si traducono in poco meno di 46.500 metri quadrati, sufficienti per i primi 1.400 dipendenti ma anche per arrivare fino a 3.000 in caso di espansione.

La sagoma dell’ex centrale è una vista iconica della capitale inglese che negli anni è stata riportata sulla copertina di uno degli album del 1977 dei Pink Floyd, Animals (con il grande maiale volante tra le ciminiere usato per il lancio del disco)  ma anche nel film del 1965 “Help” dei Beatles, nella brochure dell’album “Quadrophenia” degli Who fino al libretto di “The Resistance” dei Muse.

Snam: diamo un’occhiata al titolo

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Il titolo Snam ha guadagnato terreno in controtendenza rispetto al mercato: l’attenzione è rivolta ora alla quotazioni di Italgas attese per metà novembre.

Snam registra un bel rialzo in controtendenza rispetto all’indice delle blue chips. Il titolo si è fermato a 4,934 euro, a ridosso dei massimi intraday, con un vantaggio dell’1,52% e oltre 12 milioni di azioni transitate sul mercato a fine sessione, al di sopra della media giornaliera degli ultimi tre mesi pari a circa 10,5 milioni di pezzi.

L’attenzione del mercato però è rivolta all’appuntamento di metà novembre, ovvero alla quotazione in Borsa di Italgas, controllata da Snam. La società si appresta a tornare in Borsa dopo 13 anni, pare non sia ancora stato definito un valore preciso, ma si starebbe ragionando intorno ad una capitalizzazione compresa tra 3,5 e 4 miliardi di euro.

Al termine dello spin-off e in seguito alla quotazione, Snam si troverà a detenere il 13,5% del capitale di Italgas, mentre il 26% sarebbe nelle mani di Cassa Depositi e Prestiti.

Secondo gli analisti di Banca Akros, Snam ha iniziato a beneficiare dello spazio di re-leverage legato allo spin-off di Italgas con l’acquisto di una quota di minoranza in Gas Connect Austria.
Gli esperti segnalano che Snam tratta con un premio di quasi il 30% rispetto all’equity Rab di fine anno, motivo per cui mantengono un atteggiamento cauto con una raccomandazione “neutral” e un prezzo obiettivo a 5 euro.

Il premio di quasi il 30% sulla Rab viene riconosciuto anche dai colleghi di Mediobanca Securities che però ritengono ciò interessante nell’attuale contesto di mercato. Per questo motivo gli analisti confermano una strategia bullish per Snam, con una raccomandazione “outperform” e un target price a 5,5 euro.

Gli esperti di Equita SIM consigliano invece di mantenere il titolo in portafoglio, con un fair value a 5,6 euro.

Non si sbilancia neanche Icbpi che a Snam assegna una raccomandazione “neutral”, con un prezzo obiettivo a 5,45 euro. Gli analisti focalizzano la loro attenzione sulle ultime dichiarazioni dell’AD Alverà, dal quale si è appreso che Snam è disponibile a dare un contributo allo sviluppo di una rete infrastrutture per il rifornimento di mezzi alimentati a gas.

Il manager ha affermato che il gruppo da lui guidato sta studiando la possibilità di mettere al servizio dell’Italia la sua capacità di realizzare le opere e di investire in infrastrutture.
Secondo gli esperti di Icbpi l’eventuale interesse per progetti di questo tipo rappresenterebbe per Snam una strada per raggiungere una parziale differenziazione del proprio business rispetto alle attività regolamentate, con l’obiettivo di poter cogliere eventuali opportunità in termini di più elevati tassi di crescita.

Referendum: scenari

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Il Consiglio dei Ministri ha fissato la data per il referendum costituzionale per il prossimo 4 dicembre, data in cui gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sulla riforma della Costituzione. L’esito è ancora incerto ma, secondo le previsioni, le intenzioni di voto vedono il “no” in leggero vantaggio rispetto al “si”.

Società Generale ritiene che ci sia il 55% di probabilità che Renzi perda la sua battaglia e così in caso di trionfo si andrà incontro ad un periodo di incertezza e di cambiamenti politici, i cui sviluppi sono poco ipotizzabili al momento.

Secondo Fideuram Investimenti SGR, una vittoria del no sarebbe letta dagli investitori esteri come lentezza nelle riforme dell’Italia, con una battuta d’arresto di quel processo di cambiamento che è iniziato, ma che si sta rivelando più lento del previsto.
In tal caso Piazza Affari ne risentirebbe, con conseguente aumento della volatilità, mentre una vittoria del si indurrebbe gli investitori a vedere nell’Italia un Paese che ha voglia di andare avanti sul fronte delle riforme.

Secondo Lazard Frères Gestion anche qualora il no dovesse avere la meglio non ci sarà alcuno short sul mercato del debito italiano. Si andrà incontro ad una certa volatilità visto che la bocciatura della riforma costituzionale sarebbe un messaggio negativo, ma è anche vero che gli effetti del “sì” sarebbero visibili nel medio termine, mentre il mercato ragiona sul breve.

Secondo UBS se ad avere la meglio saranno i no, allora si andrà incontro ad un aumento dell’incertezza politica e ad un passo indietro sul fronte delle riforme, mentre in caso contrario lo scenario politico dovrebbe diventare più stabile e si avranno ulteriori progressi nel programma riformatore portato avanti da Renzi.

Una vittoria di Renzi alle urne secondo la banca elvetica favorirà un restringimento iniziale dello spread BTP-Bund nell’ordine di 5-10 punti base, mentre con il trionfo dei no il differenziale tra il decennale italiano e quello tedesco potrebbe salire oltre quota 155 punti base.

Al momento gli analisti preferiscono avere una posizione lunga sul decennale spagnolo piuttosto che su quello italiano, consigliando una copertura contro una potenziale escalation dei rischi italiani con la vendita del BTP a 10 anni a favore dei Treasuries Usa.

Quando si parla di spread non si può non fare riferimento ai titoli del settore bancario che inevitabilmente risentono dei movimenti dei bond italiani, di cui sono pieni. Non a caso Morgan Stanley segnala che un voto negativo penalizzerebbe gli istituti di credito italiani, visto che diventerebbe più complicato il piano di ricapitalizzazione di Banca Monte Paschi e aumenterebbe il rischio di contagio per il settore europeo nel complesso.

 

 

Colazione: attenzione perchè potrebbe costarvi cara!

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[su_note note_color="#e90a2c" text_color="#ffffff"]Le opzioni binarie e digitali sono vietate in Europa. I contenuti relativi ad opzioni restano in archivio a solo scopo informativo. Se non sei un cliente professionista, ti invitiamo a valutare il Trading Forex, CFD o Criptovalute[/su_note]

Quel caffè così importante che vi permette di svegliarvi ed iniziare la giornata con il piede giusto potrebbe costarvi più caro.

La causa di tutto questo è il clima brasiliano che sta mettendo in difficoltà diverse materie prime. Una siccità che si accanisce contro i raccolti di Robusta e Arabica, precipitazioni intense che invece incidono negativamente sugli agrumi e un freddo fuori dal comune che minaccia lo zucchero.

Certo il problema climatico non è presente solo in Brasile, ma siccome la nazione è la principale produttrice ed esportatrice di tutte e tre le materie prime sopra citate, le ripercussioni sui prezzi sono significative.

Gli investitori hanno incrementato le loro posizioni long sui prodotti e, proprio per questo zucchero e agrumi stanno scambiando a ridosso di massimi quadriennali, mentre il caffè arabica ha raggiunto livelli che non si registravano da febbraio 2015. Il problema per di più non sembra essere di breve termine, in quanto ci sono reali problemi di fornitura.

I gestori si stanno posizionando per un rialzo delle quotazioni, con la net long position dello zucchero che sale del 6,4% a 284448 contratti (futures ed opzioni combinati), variazione maggiore in sei settimane.

Lo stesso vale per il caffè arabica, con la long position che si pone sui livelli più elevati da ottobre 2014 e per il succo d’arancia che vede gli investitori aumentare le scommesse long per la quarta settimana consecutiva.

Inoltre, l’indice che misura le variazioni complessive dei tre prodotti è salito ai livelli più alti dal 2006 ad oggi.

 

Manifatturiero: il settore non parte

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Il settore manifatturiero quest’anno viaggia ancora con il freno a mano tirato. E’ colpa degli scarsi investimenti e della domanda debole. Un circolo vizioso difficile da spezzare in tutte le regioni.

L’ultimo rapporto dell’Organizzazione per lo sviluppo industriale delle Nazioni Unite (Unido) lancia l’allarme per il settore manifatturiero che gira a vuoto. Proprio nei prossimi giorni usciranno i dati aggiornati relativi ai principali manufacturing index e vedremo quali saranno i risultati, anche se il quadro atteso per l’immediato è cupo.

Il rapporto Unido spiega: “Le economie industrializzate dal nord America all’Asia dell’est sono impantanate nella palude della bassa crescita, mentre il ritmo della manifattura delle principali aree emergenti sta rallentando. Le incertezze causate da Brexit pesano sulle prospettive di molte economie europee e la performance degli Stati Uniti è più debole delle attese. La crescita cinese sembra andare alla deriva, mentre quella dell’America latina ha invertito il senso di marcia”.

Fino a fine anno non ci si aspetta un miglioramento. Sempre secondo Unido il settore manifatturiero mondiale nel 2016 crescerà del 2,8%, un passo uguale a quello del 2015. Più nel dettaglio, non ci saranno variazioni sostanziali per quanto riguarda i paesi sviluppati (+1,3%), mentre dovrebbero esserci miglioramenti marginali nelle economie in via di sviluppo e di frontiera.

La situazione attuale rappresenta ancora uno degli effetti della crisi del 2008. “Gli investimenti sono diminuiti molto nelle economie industrializzate e gli impegni diretti nei paesi in via di sviluppo sono rimasti più bassi rispetto agli anni precedenti alla crisi. “, spiega il report. “Questo a sua volta ha portato a una diminuzione della domanda che ha innescato il rallentamento delle commodity”. Parliamo insomma di un circolo vizioso che, almeno nel breve termine, secondo l’Organizzazione dell’Onu sarà difficile interrompere. “La maggior parte delle economie più grandi non ci riuscirà nel 2016. La crescita del comparto manifatturiero negli Stati Uniti dovrebbe essere del 2,3%, In Europa passerà dall’1,6% del 2015 all’1,5%. Anche quello giapponese si indebolirà a causa del calo della domanda di beni nipponici da parte dei mercati internazionali”, dice lo studio. “La crescita del segmento in Cina sarà del 6,5% contro il 7% dell’anno scorso. L’Africa continuerà a soffrire a causa degli scarsi investimenti dall’estero e delle basse esportazioni”. Ma la situazione peggiore potrebbe essere quella dell’America latina che, secondo le previsioni dell’Unido, vedrà un calo del 3,1%, condizionato soprattutto dal -10% secco del Brasile (e con il contributo del -3% dell’Argentina.

Naturalmente le performance del settore manifatturiero di ogni regione sono diverse, ma ci sono elementi comuni quali il rallentamento del prezzo del petrolio, il calo della natalità e il progressivo invecchiamento della popolazione.

Industria: ecco i dati Istat per l’Italia

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I dati Istat sull’industria italiana dicono che il fatturato è in calo a luglio su base annua, mentre gli ordinativi crollano.

Il fatturato dell’industria italiana è cresciuto del 2,1% a luglio rispetto al mese precedente, ma su base annua, al netto dell’effetto del calendario, vi è stato un calo dello 0,7%, secondo i dati Istat. Crollano gli ordinativi, invece, che dopo lo straordinario +14,3% di giugno, subiscono un -10,8% mensile, mentre l’indice grezzo arretra di ben l’11,8%.

Tornando al fatturato, la media trimestrale mobile arretra dello 0,4% sui tre mesi precedenti. Il mercato interno ha contribuito positivamente (+3,2%), mentre quello estero è rimasto stabile. Gli aumenti destagionalizzati su base mensile sono stati del 4,7% per i beni strumentali, del 3,8% per l’energia, dell’1,2% per i beni di consumo e del +0,4% per i beni intermedi, mentre con riferimento ai comparti produttivi, gli aumenti annui più consistenti si sono avuti nel tessile e abbigliamento (+6,1%), mentre i cali più accentuati sono stati nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-15,3%).

Per quanto concerne gli ordinativi, l’aumento tendenziale grezzo più rilevante si è avuto nei prodotti elettronici (+20%), mentre il calo maggiore è stato nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-35,6%).

Il dato di luglio appare negativo sia in riferimento agli ordini che al fatturato. Tutto questo non fa che contribuire a spegnere l’ottimismo sulla possibile ripresa del pil nel terzo trimestre, dopo la crescita azzerata nel secondo. Da sottolineare come gli ordinativi altro non sono che produzione futura, per cui il riflesso negativo su quest’ultima dovrebbe aversi nei mesi successivi.

Clinton contro Trump: il post dibattito

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Ieri notte ha avuto luogo l’attesissimo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump.

Informata, calma, pronta e ricca di dettagli la Clinton; impreparato, vago e dallo slogan facile Trump. Novanta minuti volati in un attimo che ci hanno trasmesso il più importante insegnamento per tutti noi e per i giovani sopratutto: studiare, capire i dettagli, scavare, andare a fondo serve. Questo è il messaggio che ha dato Hillary Clinton ieri sera, un ammonimento per gli amanti della superficialità degli slogan, per l’improvvisazione.

Trump però si è difeso bene, ha cercato di cambiare marcia, ha trattenuto le battute più aggressive e volgari, a risposto a tono su economia e commercio e sugli accordi commerciali che avrebbero tolto posti di lavoro agli americani. Questo infatti è vero solo fino ad un certo punto, un ruolo importante ce l’ha avuto la tecnologia che ha ridotto da centomila a diecimila i posti di lavoro in una fabbrica di auto. Comunque nel contesto dello scontro diretto in un dibattito televisivo la tesi accordi commerciali uguale perdita di posti di lavoro poteva starci.

Hillary però con reazioni immediate alle battute di Trump ha stabilizzato la situazione. Era sicura, preparata, aveva studiato, era tranquilla davanti ad un pubblico americano di circa cento milioni di persone. Era preparata non solo sui contenuti ma anche sull’immagine, con un abito rosso sgargiante che le donava molto, orecchini ed una collana molto semplice.

Tutto è stato studiato nel dettaglio, così come il posizionamento fisico, il linguaggio del corpo, non ha mai reagito alle provocazioni, sempre con il viso sorridente che non sembrava artificiale. Qualcuno forse giudicherà eccessiva questa preparazione, poco naturale, calcolata, come ha fatto Trump. Ma Hillary era preparata e non stava fingendo e Donald che contava come al solito solo sul suo istinto per vincere non ci è riuscito e magari si preparerà meglio per il prossimo confronto.

*I CFD sono strumenti complessi e presentano un alto rischio di perdita rapida di denaro per via della leva. Tra il 74-89% degli investitori perde denaro quando negozia CFD. Considera se puoi permetterti l'alto rischio di perdere il denaro investito.
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